Mauro BertamèSegui
“La mia avventura con la vitamina C (acido ascorbico)”...
«Beh, il suo tumore non è aumentato», mi dice il medico di base
dopo aver esaminato la PET che mi hanno fatto fare il 15 maggio.
Me lo dice come incidentalmente, perchè anche lui era per la
chemio preventiva e quando gli ho detto un mese fa che non
l’avrei mai fatta, ha subito replicato: «Lei è libero di … ma
non si aspetti che le faccia ricette per cure tipo Di Bella». La
PET precedente risale al 2 febbraio; sono dunque più di tre mesi
da che il mio microcitoma (operato precocemente) tace.
Non mi faccio illusioni, s’intende. Il microcitoma è coralmente
definito «molto aggressivo», la recidiva post-operatoria
altissima e rapidissima, tanto da far ritenere che sia proprio
l’intervento ad accelerare il processo. Semplicemente, mi godo
una libertà provvisoria: e calcolo che non avendo dato ascolto
all’oncologa, secondo cui avrei dovuto cominciare la chemio
preventiva (cisplatino, cortisone, radiazioni e non so che
altro) «subito, immediatamente dopo l’operazione», mi son goduto
due mesi di relativa buona salute soggettiva, risparmiandomi le
devastazioni inutili dei farmaci neoplastici. Bisogna
accontentarsi, e nelle mie condizioni le settimane risparmiate
dalla sofferenza diventano preziose come gioielli.
Del resto, assumo che la malattia sia incurabile. Lo afferma lo
stesso National Cancer Institute, il serissimo istituto
governativo americano che riporta con minuziosa precisione lo
stato dell’arte e tutte le informazioni che possono saziare la
curiosità, riguardo ad ogni specie di tumore. In calce al
capitolo «Informazioni generali sul cancro a piccole cellule» (microcitoma
significa appunto a piccole cellule, ma suona più scientifico, e
dà l’impressione che i dottori sappiano con che cosa hanno a che
fare) è posta, in grassetto, questa avvertenza: «Per la massima
parte dei pazienti con tumore a piccole cellule, i trattamenti
correnti non costituiscono cura del cancro» (For most patients
with small cell lung cancer, current treatments do not cure the
cancer). (General Information About Small Cell Lung Cancer) La
chemioterapia, vien detto chiaro, non cura nulla. Altrove vien
ripetuto che «gli attuali trattamenti sono insoddisfacenti per
quasi tutti i pazienti» con questo cancro. Ma questa avvertenza
in grassetto è replicata in calce alla descrizione di
praticamente ogni tipo di neoplasia, salvo forse per certo
linfomi. A quanto pare, la frase è stata inserita non su
suggerimento dei medici ma dagli avvocati; in USA si rischiano
cause miliardarie per promesse terapeutiche infondate; solo in
Italia si può proclamare in TV che «siamo a un passo dal
debellare i tumori», o «abbiamo migliorato di molto la
sopravvivenza» o «disponiamo oggi di chemioterapie mirate e meno
invasive» (balla assoluta: nel mio caso mi hanno proposto, a
scopo preventivo, il solito bombardamento pesante e
indiscriminato di sostanze tossiche e cancerogene) nel chiedere
il 5 per mille da parte dello IEO, l’istituto
privato-convenzionato di Veronesi. La chemio viene dunque
proposta (imposta) come risposta alla domanda psicologica dei
pazienti spaventati dalla diagnosi («Dottore, mi salvi») da
esperti che ne conoscono perfettamente l’inefficacia; e che
esercitano questo trattamento come un vero esercizio della
crudeltà, crudeltà per cui hanno mano libera (ho ricevuto
resoconti di calvarii individuali che fanno rizzare i capelli in
testa…), e che un giorno, spero, porterà l’intera oncologia ad
essere definita come crimine contro l’umanità. Personalmente, mi
sforzo di adottare un altro atteggiamento; anzichè l’inane ansia
di sfuggire alla morte, buttarmici a capofitto; una volta in
grazia di Dio, non c’è più motivo di aver paura. Ma allora,
Blondet, non stai facendo alcuna cura? Me lo chiedono diversi
amici. Una cura la sto facendo. A scarico di coscienza, sto
sottoponendomi ad iniezioni in dosi crescenti di acido ascorbico
(vitamina C) in vena, dosi che dovrebbero diventare molto alte
(30-50 grammi a infusione) sotto il controllo di un medico di
cui non faccio il nome, perchè ha già (naturalmente…) i suoi
guai giudiziari per questa colpa, aggravata dal fatto che non
cerca di farci soldi. È, con qualche miglioramento, la vecchia
cura proposta mezzo secolo fa da Linus Pauling, che lì per lì
ricevette per questo persino il Nobel. La terapia fu poi
liquidata da sperimentazioni cliniche condotte dalla clinica
Mayo del Minnesota, che smentì le speranze sollevate. Il fatto è
che alla Mayo si trattarono i pazienti della sperimentazione con
acido ascorbico in alte dosi per via orale, credendo (o fingendo
di credere) che l’assorbimento intestinale della sostanza presa
per bocca fosse così alto, da equivalere all’assorbimento in
vena… i risultati furono provvidenzialmente deludenti.
Attualmente, però, il trattamento con IVC (Intra-venous C
vitamin) in megadosi di pazienti cancerosi è tornato in auge in
diverse cliniche americane e britanniche: anzi, è vista come una
terapia legittima «per i pazienti che deliberatamente rifiutano
la chemio» (così il dottor Julian Kenyon, direttore medico della
Dove Clinic for Integrated Medicine, London e Winchester). Una
seria rivista scientifica, il “Proceedings of National Academy
of Sciences”, ha pubblicato i risultati di un lavoro di vari
scienziati che hanno comprovato come «dosi farmacologiche (cioè
altissime) di ascorbato» siano riuscite a produrre «una
riduzione di un aggressivo glioblastoma nel topo», ed anche
tumori delle ovaie e del pancreas. I ricercatori non si peritano
di raccomandare questa terapia su pazienti umani «con prognosi
infausta e opzioni terapeutiche limitate». (Pharmacologic doses
of ascorbate act; Qui il testo completo dello studio:
Pharmacologic doses of ascorbate act as a prooxidant and
decrease growth of aggressive tumor xenografts in mice). Il
lavoro spiega anche il meccanismo d’azione della vitamina C.
Normalmente, anche in alte dosi, essa è un potente
anti-ossidante, e in quanto tale un sostegno del sistema
immunitario. In dosi ancora più alte, però, diventa un
pro-ossidante: converte i radicali liberi in perossido di
idrogeno, una sostanza (è l’acqua ossigenata, H2O2, in cui il
secondo atomo di ossigeno facilmente si libera bruciando i
tessuti) fortemente tossica per le cellule, in quanto ne
danneggia la membrana. Senonchè, le cellule normali del corpo
sono in grado di neutralizzare il perossido di idrogeno, grazie
a un importantissimo enzima chiamato catalasi, che le cellule
sane producono, anzi che è ubiquitario in tutti gli organismi
animali e vegetali. (Catalasi) Le cellule tumorali invece non
sono capaci di produrre la catalasi, sicchè sono senza difesa
davanti all’azione tossica del perossido, il prodotto di scarto
della vitamica C in altissime dosi; le cellule cancerose
verrebbero dunque uccise in modo selettivo, tanto più che
l’acido ascorbico si concentra, com’è stato comprovato dagli
esami del siero, preferenzialmente attorno ai tumori solidi
piuttosto che nei tessuti sani, a causa della somiglianza
chimica della vitamina C col glucosio, di cui le cellule
tumorali sono ghiotte. Se questo è vero, il trattamento con dosi
altissime di acido ascorbico endovena otterrebbe quello che la
chemioterapia promette e non mantiene: uccidere selettivamente
le cellule cancerose, risparmiando invece i tessuti sani. Vedo
anche, spigolando qua e là, allusioni dei medici favorevoli a
questo tipo di cura ad un «protocollo del Kansas», con precise
linee guida indicate da una dottoressa Jeanne Drisko, che
all’università del Kansas dirige il Programma di Medicina
Integrata. Dosi crescenti di vitamina C infuse in flebo «due
volte la settimana» è il metodo seguito dal dottor Thomas Cowan,
con il controllo della concentrazione della vitamina nel sangue
immediatamente dopo l’infusione; «una volta raggiunti i livelli
ottimali, si continua fino a quando constati una remissione
(dell’avanzata della neoplasia); se la remissione si verifica,
la terapia è continuata per sei mesi fino a un massimo di due
anni, nello sforzo di cambiare l’intero corso della patologia».
La rivelazione del meccanismo d’azione dell’acido ascorbico in
dosi farmacologiche non solo vendica Linus Pauling (che del
meccanismo per cui la vitamina C aveva azione anti-tumorale non
seppe dare ragione); ma anche, mi pare, in qualche modo rafforza
la posizione dei credenti nella terapia alternativa a base di
ascorbato di potassio. Come forse è noto a molti lettori, l’idea
venne a un chimico fiorentino di nome Gianfranco Valsè
Pantellini nel 1947, dopo aver fatto visita ad un amico orefice
con cancro gastrico terminale. Trovò che il malato riusciva
ormai a nutrirsi solo con limonate rese effervescenti dal
bicarbonato; i medici gli davano poche settimane di vita.
Invece, mesi dopo, il canceroso appariva guarito (morirà otto
anni più tardi, di infarto). Pantellini vide che, per un errore
del farmacista, il bicarbonato con cui l’orefice mescolava il
suo succo di limone non era comune bicarbonato di sodio, ma di
potassio. Errore felice: come intuì il chimico, mentre il sodio
resta nei tessuti liquidi esterni alla cellula, sangue e siero,
il potassio svolge un ruolo essenziale nei processi metabolici
intra-cellulari, portando (per semplificare) la vitamina C
direttamente all’interno delle cellule. Gli effetti collaterali
della terapia con acido ascorbico (frequenza di urinare, a volte
lieve diarrea) non sono nemmeno paragonabili con gli effetti
collaterali della chemio. Del resto, l’acido ascorbico è la sola
vitamina che non provochi iper-vitaminosi, quasi che la natura
(Dio?) l’avesse predisposta per le alte dosi prescritte dal
Kansas Protocol. La vitamina C ad alte dosi ha anche un costo
incredibilmente modesto rispetto alla chemio. Una confezione con
5 fiale (5 cc.) costa 3,6 euro. Il costo diventa però
ragguardevole quando si giunge ad infusioni quotidiane di 30 o
50 o 75 cc., sostenute per mesi. E qui entra di nuovo in causa
il mio medico di base che «non fa ricette di cure alternative».
Ho provato a portargli lo studio sopra citato col meccanismo
d’azione spiegato (l’esistenza della catalasi, penso, sarà una
scoperta anche per molti dottori), ma ho commesso l’errore di
portargli il testo inglese dello studio pubblicato dalla rivista
dell’Accademia delle Science USA. Lui l’ha sventolato
allontanandolo da sè come fosse un insetto molesto: «Sono sicuro
che posso trovare decine di articoli che dicono il contrario».
Il fatto è che non ci sono… Ciò mi ha fatto meditare sulla
formazione dei medici di base. Dopo la laurea, oberati dal
lavoro per lo più burocratico, tutto il loro aggiornamento lo
ricevono dagli informatori scientifici, ossia dai propagandisti
e piazzisti delle aziende farmaceutiche, da esse pagati e
sguinzagliati negli ambulatori con le borse di cuoio piene del
nuovo farmaco brevettato da raccomandare, piccoli e grandi
omaggi, offerte di partecipare a seminari sul nuovo farmaco a
Portofino o a Lanzarote, pranzo cena e pernottamento, con
signora. Questa non è solo corruzione. La pratica
propagandistica deforma la mentalità dei medici nel senso di
rafforzare in loro una preferenza assoluta per i farmaci
confezionati; per i farmaci di «grandi case farmaceutiche»; per
i farmaci «nuovi» rispetto a farmaci vecchi, parimenti efficaci
e spesso meno pericolosi (esempio in cardiologia: il Clopdigrel,
o Plavix della Sanofi-Aventis, è un fluidificante del sangue più
o meno efficace quanto l’aspirina, ma va controllato
accuratamente perchè provoca danni al… midollo spinale). Non
esistono più medici (ma ho fatto a tempo a conoscerne almeno un
paio) che compongono o propongono galenici. Per esempio, ci sono
donne a Rimini che hanno gratitudine eterna per il mio ex
suocero, un burbero medico croato che le salvò dallo
sfiguramento di gravi ustioni, senza bisogno di ricorrere al
chirurgo plastico, con una pomata di sua composizione (ne aveva
ottenuto la formula da una zingara, diceva): una pomata per
comporre la quale, però, il dottor Minak andava ogni mattina al
macello a raccogliere midollo di bue fresco, cosa che la
Sanofi-Aventis certo non fa. Ho conosciuto medici che ancora
prescrivevano pillole di calcio che altro non erano che polvere
d’ossa, altro sottoprodotto di macelleria, fino a quando le
pillole non sono scomparse dalle farmacie, perchè costavano
troppo poco per fare profitto. Ho conosciuto ancora medici che
curavano l’acne o altre foruncolosi con l’Ittiolo, tratto da
scisti bituminosi, dal caratteristico odore di pesce affumicato;
o prescrivevano, non ricordo per quale affezione, acido ursinico,
tratto dal grasso d’orso. Erano cure efficaci; ma non conviene
più produrle. Anche l’acido ascorbico iniettabile viene
fabbricato da qualche piccola ditta praticamente su ordinazione.
Il mio medico sa solo che la vitamina C endovena «era un’idea di
Pauling, ma superata». I nuovi studi non lo raggiungono, se non
gliene parla il promotore scientifico della Merck o della Squibb.
Proverò a tornare alla carica, assicurandolo che non metterò la
vitamina a carico della ASL (l’ente previdenziale dei
giornalisti rimborsa persino l’omeopatia e gli integrativi,
purchè li prescriva il medico curante) ma non ho molte speranze.
La mia cura, presto o tardi, dovrà fermarsi per impossibilità
dello scrivente ad avere la prescrizione firmata dal medico, di
cui necessito. Confido più che mai nelle preghiere di tutti, e
nella volontà di Cristo.
P.S.: Secondo le ultime notizie, la FDA (Food and Drug
Administration) si appresta a vietare la somministrazione di
acido ascorbico in vena, fra le proteste di diverse cliniche
americane che già l’hanno adottata. Sarà curioso vedere quale
scusa troveranno stavolta: effetti collaterali dell’unica
vitamina che non produca iper-vitaminosi? A quando una
valutazione degli effetti collaterali della Ciclofosfamide, la
mostarda azotata vescicante che cominciò la sua carriera nelle
trincee per avvelenare i soldati a migliaia?
di Maurizio Blondet (nel lontano 02 giugno 2011)